A volte si vorrebbe dire “La colpa è tua!”
“La colpa è tua!”. A volte si ha voglia di dirlo a qualcuno. Ai medici, alla sorte, al destino, al mondo… Non importa a chi, si ha voglia di dirlo e basta. Soprattutto quando sai che la causa di tutto ciò risale a circa vent’anni fa, a quando avevi pochi mesi di vita, quando scoprirono quella macchiolina nera, che riempiva tutto il tuo fegato, che al tempo era così piccolo…
Già, se solo avessero saputo capire prima a cosa avrebbe portato… E allora, si vorrebbe tornare indietro. Ma poi mi fermo e rifletto. Davvero vorrei rivivere tutto questo, senza di Lei? Senza quella insidiosa e petulante malattia che mi toglie il respiro a ogni passo? Come sarebbe stato tutto, senza di Lei? Nemmeno riesco a immaginarmelo. No! Certo che no! Io non lo vorrei! Ognuno di noi è il risultato delle proprie esperienze, emozioni, pensieri. E in tutto ciò, c’è anche Lei. È proprio lì, nella debolezza di un respiro mancato, che è racchiusa gran parte della mia forza, e della forza di tutte le persone magnifiche, che proprio grazie a Lei ho conosciuto.
Come dicevo, la mia storia con l’ipertensione polmonare comincia circa vent’anni fa. A pochi mesi di età, infatti, mi fu diagnosticata un’angiomatosi epatica fistolizzata, la quale venne tenuta periodicamente sotto controllo, fino a quando, a seguito di una risonanza magnetica, mi dissero: “È tutto a posto”. Avevo 9 anni.
A quell’età e poi durante gli anni delle scuole medie lo sport è importante, quindi spesso si giocava all’aria aperta, ci si rincorreva, si giocava a nascondino. E mi ricordo che ogni volta annaspavo, ansimavo, diventando rossa in viso e cercando disperatamente quel respiro che andava via. Ero sempre l’ultima in questo tipo di giochi. Per non parlare poi della ginnastica a scuola. Alle medie il professore, come riscaldamento, ci faceva correre per dieci minuti. Non ci riuscivo, rimanevo indietro, accanto ai più svogliati. Il risultato era che il voto di ginnastica era perennemente basso e il professore diceva a mia madre che non mi impegnavo abbastanza. Perché? E come potevo non pensare che la colpa non fosse mia? “Non sono portata per lo sport”, mi dicevo. Nel 2007 invece giunse una risposta nuova a questo perché. Avevo 12 anni quando mi diagnosticarono l’ipertensione polmonare, dopo numerosi controlli successivi a una visita medico-sportiva per la pallavolo. Questa malattia è poco conosciuta, spesso non viene individuata, ma grazie alla tenacia di mia madre, a seguito di innumerevoli visite, arrivammo alla diagnosi. L’ipertensione polmonare era causata dall’eccessivo flusso di sangue, dovuto alla fistola epatica, riscontrata all’età di 4/5 mesi. Dovetti sottopormi a due embolizzazioni, nel corso di quello stesso anno, presso un ospedale di Parigi. A quel punto comparve un barlume, una tenue speranza: dissero che non sarebbe avanzata. Iniziai la terapia con il sildenafil, e iniziai a essere seguita presso l’ospedale di Ancona, la mia città.
I miei genitori, non essendo soddisfatti del modo in cui la malattia veniva trattata, cominciarono delle ricerche attraverso il web, visti gli scarsi suggerimenti da parte dei medici presso i quali ero in cura. Fu così che, a settembre 2009, andammo alla prima visita all’ospedale S. Orsola-Malpighi di Bologna. Finalmente sentimmo di essere seguiti in modo adeguato. Sistemarono la mia terapia in modo che fosse più efficace, e rimasi in cura lì, avendo la sensazione di essere in “buone mani”. Nel corso degli anni, quel lieve barlume di speranza diveniva più flebile. La malattia purtroppo stava avanzando. Assieme ad essa però, anche la mia vita avanzava, e nonostante tutto, era normale. Talmente normale che mi dimenticavo di essere malata, anzi, io non lo ero! Non pensavo mai a me stessa come a una ragazza che stava male! Me ne ricordavo solamente quando dovevo fare le scale, o camminare veloce, o quando, ai controlli periodici, a Bologna, mi aggiungevano un farmaco nuovo. Fino al 2013, in ogni caso, la situazione rimase pressoché stabile, e la mia terapia comprendeva: sildenafil e bosentan.
Durante quell’anno, però, la dilatazione dell’arteria polmonare cominciò a causarmi alcune complicanze. Dapprima bloccò una corda vocale, e la mia voce divenne sottile, flebile. Mi dispiaceva, molto. Soprattutto, per il fatto che ero nel gruppo di recitazione della scuola, e quell’anno la professoressa mi aveva assegnato un ruolo che mi piaceva molto. Fu l’ultimo spettacolo, e la mia voce non mi piaceva molto. Oltre alla voce, per via della corda vocale bloccata, persi anche la capacità di ingerire liquidi: disfagia. Inizialmente provai con numerose tecniche, come addensanti per i liquidi, o bevendo a piccoli sorsi, ma nonostante ciò, la continua ingestione errata di ciò che bevevo fu causa di ulteriori complicanze: polmonite. Una volta guarita, dovetti ritornare a Bologna a causa di un restringimento delle coronarie, rivelato a seguito di una coronarografia, per il quale dovettero inserirmi uno stent, pertanto alla mia terapia si aggiunse la cardio-aspirina. Nel frattempo, iniziai una cura presso una logopedista, per migliorare la voce e imparare tecniche per evitare la disfagia. Nonostante la corda vocale sia ancora ferma, ne ho avuto giovamento. Ancora per un anno, continuai a vivere dimenticandomi di essere malata. Tanto che decisi di andare a studiare fuori. Cominciai l’università alla Facoltà di Lettere Classiche a Trento, a cinque ore di distanza dalla mia città. Durò solamente quattro mesi, ma furono quattro mesi stupendi. In cui Lei era tranquilla, lontana, quasi un flebile ricordo. È facile infatti dimenticarsene, quando nessuno accanto a te sa nulla, e quello che ti limiti a far sapere è che hai un problema respiratorio, e non puoi salire le scale, o camminare velocemente… Questo sogno svanì a febbraio del 2014. Il nuovo anno era appena cominciato, era tutto perfetto, gli esami erano andati bene, ed ero pronta ad affrontare la seconda parte di quella fantastica avventura. Ma il respiro mi mancava, a ogni passo, sempre di più. Non riuscivo più neanche ad allacciarmi le scarpe da sola…
A Bologna, mi ricoverarono per alcuni accertamenti: il cateterismo non andò bene, e mi comunicarono che avrei dovuto aggiungere alla mia terapia il Remodulin, e rinunciare a studiare fuori. Mi dissero che presto con il nuovo farmaco sarei migliorata, e che in seguito, dopo circa due anni, sarei entrata in lista per il trapianto. Nulla invece andò come previsto. In quel momento incominciai a perdere, piano piano, tante cose. Il respiro non ritornava. Il Remodulin era fastidioso e purtroppo, nonostante un miglioramento emodinamico, non mi restituì il respiro. Infatti, il mio affanno era dovuto alla compressione di un bronco da parte dell’arteria polmonare dilatata. Quando a Bologna i medici si accorsero di questa problematica immediatamente avviarono le procedure per lo screening, e mi inserirono in lista per il trapianto. Mi dissero di abbandonare gli studi, e di camminare il meno possibile, utilizzando la carrozzina anche per gli spostamenti brevi. Qualche tempo fa, mi aggiunsero l’ossigenoterapia 24h/24, dalla quale trassi un po’ di giovamento.
E ora, non devo far altro che attendere. Una chiamata e un futuro migliore… E non posso dire che sia facile. A volte ho paura, a volte invece, lo desidero intensamente.
Ora non mi dimentico più di essere malata, eppure vivo ancora, ogni giorno, cercando di trattenere le cose belle dei momenti che attraverso. Gli amici, i familiari, loro sono la mia forza, e mi accorgo, di quanto io ne abbia bisogno.
Ma la vera forza è quella che potrà essere solamente in me, quella che mi dà il coraggio per ringraziare la vita, e anche questa malattia, che mi ha reso ciò che sono.
Buona salute a tutti!