La mia strada al S. Orsola-Malpighi con una compagna “indesiderata”, ma in fondo “bella”
La storia di Patrizia, la mia storia, è un po’ simile alle altre. Molti di noi all’inizio abbiamo avuto diagnosi sbagliate, io, però, ho avuto la “fortuna” di non capire i primi segnali di quella che poi si sarebbe rivelata un’ipertensione polmonare, dopo la prima gravidanza, per cui, del tutto ignara di cosa mi stesse capitando, sono rimasta incinta per la seconda volta e oggi sono mamma di due bellissimi bambini.
I primi segnali, quindi, sono arrivati nel 2004: ero sempre stanca, avevo delle crisi che mi lasciavano senza fiato; i medici interpellati dicevano che non avevo assolutamente nulla, che poteva essere tutta una conseguenza di un mio stato particolarmente ansioso. Finché ai sintomi iniziali si sono associati il dimagrimento e le forti palpitazioni. A questo punto, mio marito, seriamente preoccupato, ha prenotato una visita cardiologica presso un centro medico molto conosciuto e qui, finalmente, dopo tanto peregrinare, hanno decretato la diagnosi: ipertensione polmonare secondaria. Avevo, in pratica, un difetto interatriale fin dalla nascita e nessuno mai, nonostante due parti cesarei e altre operazioni subite negli anni, aveva fatto questa diagnosi.
Non avevo mai sentito parlare di questa malattia rara, anzi credevo si trattasse di ipertensione arteriosa, per cui non mi sono allarmata più di tanto. Poi abbiamo iniziato a documentarci e abbiamo anche letto che l’aspettativa di vita era dai 2 ai 3 anni. Allarmata, nel 2010 ho cambiato centro di cura e in quello nuovo mi è stato fatto un primo cateterismo cardiaco. Nello stesso anno mi è stato chiuso il difetto interatriale e ho iniziato la cura con Tracleer e successivamente con Revatio aumentando di volta in volta le dosi. Ho fatto anche riabilitazione alla Fondazione Maugeri.
La mia esperienza con questa “compagna” che non ho scelto, ma che mi sono ritrovata accanto sempre e costante, a questo punto del mio percorso di vita, devo dire che è positiva.
Ma non è stato sempre così naturalmente. All’inizio ero frustrata e distrutta dalla stanchezza. Chi mi stava intorno pensava che fossi strana e nervosa e che le mie “crisi” non fossero normali. Anzi anche alcuni medici interpellati guardavano me e i miei familiari con compassione, pensando all’incognita del futuro con una donna esaurita e due bimbi piccoli da crescere. Io non mi davo per vinta: anche se stanchissima (a volte non riuscivo ad alzarmi dal divano) stringevo i denti e facevo più del necessario, tutto: andavo in ufficio, cucinavo, badavo ai bambini, lavavo, stiravo, ecc. fino a rimanere quasi senza fiato.
Nella mia beata ignoranza, non avendo idea di quello che avrei dovuto affrontare da lì a poco, vivevo tranquilla, pensando che dopo una piccola cura ricostituente, finalmente ne sarei uscita.
Invece ho dovuto tirare fuori ancora più forza di quanto avrei creduto di avere, dato che, dopo aver capito la gravità della “compagna” (non voglio chiamarla malattia) e attraversato un uragano, un ciclone, una violenta tempesta mista di emozioni e forti paure di non farcela, l’angoscia di una sensazione di impotenza con cui mi sono dovuta confrontare, ho dovuto “sostenere” chi mi stava vicino.
Fino al 2014 sono stati quattro anni di paura e ansia, spesso correvo in Pronto Soccorso con dolori forti al petto. Cercando informazioni, ho scoperto l’associazione AIPI. Mi sono iscritta e ho incontrato tante storie simili alla mia. Potevo parlare, condividere e confrontarmi. Ed è stato un grande conforto sapere che non ero sola, che c’erano dei luminari che si davano da fare per noi malati.
Sono stata per alcuni anni in disparte, quasi in punta di piedi. Poi, continuando a stare sempre peggio, ho preso coraggio e ho telefonato a Marzia, manifestandole le mie perplessità sulla cura che stavo seguendo e che non dava i risultati sperati. Marzia mi ha subito presa per mano e mi ha aiutata a superare le paure. Così nel giugno 2014 sono stata ricoverata per una settimana presso il S. Orsola-Malpighi di Bologna, nel reparto del Prof. Galiè. Da qui la mia rinascita.
Oggi posso dire che non è stato un percorso semplice: è pieno di ostacoli da superare, di insoddisfazioni, di cambiamenti; ma soprattutto di emozioni nuove, contraddittorie e intense.
È un’esperienza nuova, fatta di coraggio e trasformazione; ma alla fine… bella. Quest’ultima parola è forte, lo so, lo capisco, ma credo che dopo tutto questo caos si rinasca come una persona nuova, più soddisfatta dalla vita, una persona che apprezza anche il nulla, che poi il nulla non è. Niente è nulla. Tutto questo lo devo a me stessa, al lavoro che ho fatto su me stessa, a mio marito che non si è arreso mai come me, alle informazioni che abbiamo cercato, alle conoscenze che ho fatto in questi anni, alle fisioterapiste e ai medici che con pazienza e rispetto mi hanno aiutato a capire e a superare le fasi iniziali. È un’esperienza positiva, perchè nella trasformazione, anche verso il baratro, c’è la possibilità di risalita per la riconquista della propria vita, del proprio Io. Sono felice della mia vita, della mia famiglia, degli amici e di tutto ciò che mi circonda. Ora sono in cura al S. Orsola-Malpighi e sto abbastanza bene.
Da questa esperienza ho imparato tanto: apprezzo ogni cosa, mi commuovo anche per i piccoli gesti e vedo la vita da un’altra prospettiva. Non ringrazierò mai abbastanza Marzia per la sua grande umanità e disponibilità. Come non ringrazierò mai abbastanza il Prof. Galiè e la sua magnifica équipe. La mia tenacia senza di loro non sarebbe bastata.
di Patrizia Giordanelli