La terapia del canto
Buon giorno, buon pomeriggio, buona sera oppure buona notte! Intanto chi comincia a leggere questa storiella deve sapere che in qualsiasi momento in cui la legge va bene! Molti di voi già mi conoscono! Sono Riccardo Rossini e sono un trapiantato! Sì, un trapiantato dagli Stati Uniti d’America, paese dove sono nato nel 1954 nella grande città di Pittsburgh.
I miei genitori erano emigrati nel 1951 dall’Italia e come tutti gli emigrati erano in cerca di fortuna, poiché in quel periodo nel “Bel Paese” non c’era molto da fare. Là ho vissuto da vero americano: andavo a scuola, giocavo a baseball, football americano, basketball, facevo il chierichetto e naturalmente mi interessavo alla tavola, cioè dell’ottima cucina italiana che faceva mia madre. Sì, lei faceva la casalinga full time e mio padre invece era minatore, poi ha imparato a fare l’idraulico. Questo ci ha permesso di trasferirci nel 1961 a New York e qui tutto è cambiato. Le attività quotidiane continuavano nella norma; invece per quello che riguardava la vita familiare, ovvero la cucina della mamma abbinata ad hamburger e quanto di altro americanizzato pieno di calorie, eran dolori! Ingrassavo a vista d’occhio al punto da vergognarmi un po’ a frequentare i miei amici. Ricordo che mi avevano affibbiato tanti piccoli nicknames come: ciccio, grassone, cicciotto, salame, mangia tutto, aspirapolvere e qualche altro nome ancora. Comunque col passare del tempo e degli anni, nel 1969 mio padre decise di tornare in Italia dopo 18 anni di lavoro: era determinato a restarci, indipendentemente dalle condizioni socio economiche che avremmo trovato in Italia a quel tempo.
La mia vita continuava tranquillamente su tutti i fronti e soprattutto per quanto riguarda la mia obesità. Diplomato geometra, ho iniziato a lavorare nell’azienda di mio padre. Coltivavo ed amavo la vita dello spettacolo e in special modo il canto. Nel 1979 ho conosciuto mia moglie Rosaria, la quale mi ha regalato prima la mia splendida figlia, Virginia, nel 1980 e poi, nel 1998, un figlio altrettanto splendido che abbiamo chiamato Enrico.
In tutti questi anni, trascurando il mio aspetto fisico, ho portato avanti la mia famiglia nella vita e nel lavoro (sono agente assicurativo e faccio alcune serate di piano bar). Tutto questo fino al 2007 quando oramai, considerando i miei 172 kg, 40 sigarette al giorno, gambe gonfie, sintomi di diabete, apnee notturne, stanchezze da non potermi muovere autonomamente, i medici mi hanno proposto un intervento di bendaggio gastrico.
Mi è stato detto che questa per me sarebbe stata proprio l’ultima spiaggia; diversamente avrei corso il rischio di mettere in serio pericolo la mia vita. Cominciai a preoccuparmi e il pensare alla mia famiglia mi faceva riflettere sul fatto che i miei figli dovevano pur continuare ad avere un padre ancora per un po’ di tempo e che era troppo presto perché io me ne andassi! Ho riflettuto su questa idea e mi sono deciso, non avevo alternative.
Fatto il bendaggio gastrico con intervento effettuato dal Prof. Giovanni Fabretti di Padova (con programmi sul dimagrimento da seguire nella Repubblica di San Marino), ho cominciato a dimagrire e a stare sicuramente meglio in tutti i sensi.
Purtroppo però i polmoni erano già danneggiati. Infatti dormivo e dormo tutt’ora con la C-PAP che mi permette di evitare apnee notturne e a ossigenare sopra il 95% (la ventilazione meccanica a pressione positiva continua, in inglese C-PAP, acronimo di Continuous Positive Airway Pressure, è un metodo di ventilazione respiratoria utilizzato principalmente nel trattamento delle apnee del sonno, sistema per il quale vennero sviluppate le prime apparecchiature, ndr).
Fino a quel momento tutto sembrava procedere bene. Non ho interrotto il mio lavoro: ho continuato a cantare e condurre la vita di sempre anche se con alcune limitazioni nel bere e nel mangiare. Ho smesso di fumare immediatamente e, non avendo minimamente sofferto per questa decisione presa all’improvviso, ho pensato di essere stato un miracolato. Mai crisi di nessun tipo, insomma… “Ce l’ho fatta!” ho pensato.
Nel 2009 durante una partita a carte con gli amici ricordo di aver mangiato della cioccolata. Questa probabilmente mi ha procurato nella notte dolori fastidiosi e non solo fitte, nella zona del fegato. Ricordo di non aver dormito per tutta la notte. Mia moglie lavorava nell’amministrazione dell’ospedale e conosceva ovviamente tutti i medici e gli operatori. Ha chiesto per me una visita a un chirurgo molto stimato e apprezzato, il Dott. Landolfo che ha deciso di sottopormi a un’ecografia. Fino a questo punto pareva che non ci fosse nulla di strano. Di strano invece c’era che mi ha fatto ricoverare immediatamente perché mi avrebbe operato entro 2/3 giorni dopo avere espletato tutti gli esami di routine. Mi ha spiegato che avevo dei calcoli al fegato e anche dei piccoli calcoli trasformatisi in sabbiolina che risalivano verso il coledoco e il pancreas. Sono rimasto incredulo e non riuscivo a immaginare oltre. Il Dott. Landolfo mi ha detto che avrei dovuto sottopormi a due interventi; uno diretto per eliminare i calcoli del fegato e l’altro con apparecchiature speciali – non in dotazione a San Marino – per rimuovere piccole formazioni di calcoli nel pancreas.
Negli esami di routine risultava che tutto era nella norma ad eccezione del valore della pressione arteriosa polmonare scoperta con eco-doppler. Hanno deciso quindi allora di mandarmi all’Ospedale Maggiore di Bologna per accertare se io ero in grado di affrontare l’intervento. Qui hanno risposto che con quel valore di pressione polmonare non volevano correre il rischio di operarmi. È pur vero però che io dovevo operarmi in fretta, se non volevo rischiare col pancreas. Il cardiologo dell’Ospedale Maggiore (di cui non ricordo il nome) mi ha informato che a Bologna presso l’Ospedale S. Orsola-Malpighi c’era il Prof. Nazzareno Galiè, il numero uno nella diagnosi e nelle cura della ipertensione polmonare. Ho fatto tesoro delle sue parole e mi sono appuntato immediatamente questa notizia sulla Settimana Enigmistica che avevo in camera. Notizia che ho conservato con molta cura e che mi è venuta estremamente utile in seguito.
Nulla di fatto dunque al Maggiore di Bologna; mi hanno riportato all’ospedale di San Marino dove hanno deciso che non si poteva più aspettare, nonostante l’IP. Prima dell’intervento mi comunicarono che non avrei dovuto preoccuparmi se al risveglio non mi fossi ritrovato dove ero prima dell’intervento. Prima di entrare in sala operatoria ho visto tre anestesisti, quattro chirurghi e mi sembra non meno di cinque infermiere. L’intervento è durato quattro ore e mi sono risvegliato in terapia intensiva tutto intubato. Vista la patologia, il rianimatore di turno si era allarmato, dal momento che non stavo bene e continuavo a lamentarmi. Alla fine, con notevole sollievo per quel giovane dottore, gli ho fatto capire che mi faceva solo male la schiena. Intanto dopo 5/6 giorni il colore della mia pelle stava ritornando bianco, mentre mia moglie mi diceva che prima dell’intervento ero giallo itterico. Facevo fatica a crederle, perché io mi vedevo normale.
Ho ripreso in mano quella Settimana Enigmistica e ho comunicato l’informazione ai medici. Dopo un periodo di convalescenza, hanno deciso su mia segnalazione di trasportarmi al
S. Orsola-Malpighi nel reparto di Cardiologia diretto dal Prof. Branzi e dal Prof. Galiè. Era il 2009. Che dire, lì mi hanno rivoltato completamente come un calzetto in soli sei giorni, con tutti gli esami del caso fino ad arrivare alla diagnosi di ipertensione polmonare. E, come tanti altri (non molti fortunatamente, essendo una malattia rara), ero dunque un ammalato di IP. Finalmente avevo una diagnosi certa e soprattutto fatta da un centro di eccellenza. Sapevo di essere in mani sicure e tra le migliori disponibili. Non mi hanno mai celato nulla sulla diagnosi e sono sempre stato informato su ogni particolare. È molto importante, credo, per un paziente essere in ogni momento al corrente della propria situazione clinica. Oltre a valori alti, avevo tutti i sintomi dell’IP, ovvero: gambe gonfie, affaticamento precoce, giramenti di testa, batticuore, sincopi, affanno per minimi sforzi e i medici erano impegnati a fare rientrare il più possibile i miei valori nella norma.
Nel 2009 durante il test dei 6 minuti di marcia sono arrivato la prima volta a 108 mt, mentre, prima che mi rompessi il femore nel 2013, durante uno degli ultimi test dei 6 minuti, ho raggiunto 468 mt. Grande successo! Grande soddisfazione! Grazie al Prof. Galiè! Grazie alla sua équipe! Dopo l’episodio “femore” non ho più effettuato il test dei 6 minuti di marcia.
Alla fine ho imparato a convivere con questa malattia, nonostante non sia proprio un campione. Sono in sovrappeso, mangio un po’ di più rispetto al normale, il peso è stazionario, mentre i medici che mi seguono a Bologna per l’IP si raccomandano che dovrebbe diminuire.
Non bisogna tirare troppo la corda e quando si ha sentore che qualcosa non va, bisogna fermarsi e attendere che passi, riposarsi, non fare sforzi inutili per il cuore e prenderla con calma. Io purtroppo non mi muovo nemmeno un po’. So che sbaglio, ma sbagliando sto imparando a darmi un ridimensionamento. L’equilibrio emotivo conta moltissimo in questi casi e, quando ti prende un attacco di debolezza, bisogna lasciarlo fare e aspettare che finisca il suo corso.
Vado al S. Orsola-Malpighi per controlli tre/quattro volte all’anno, compatibilmente al tipo di esami che mi richiedono i medici. Dal 2009 al 2014 sono rimasto in terapia con Revatio; poi mi hanno aggiunto Tracleer. Questa terapia, per mia fortuna è sopportata bene dal mio fegato e quindi vado avanti con esami tutti i mesi per controllare che tutti i valori restino nella norma. Ho imparato ad ascoltare molto attentamente i segnali di stanchezza che mi manda il mio corpo e cerco di non superarli e comunque di solito vedo positivo: quando canto sto bene, non ho affanno ed è altamente terapeutico per me.
Oggi, novembre 2015, sono ancora qui, mangiucchio (e non dovrei), prendo le mie medicine, faccio la mia C-PAP notturna e ho la soddisfazione, e spero per molto tempo ancora, di stare con la mia famiglia cui voglio molto bene.
di Riccardo Rossini