Cerco di godermi la vita come posso
Mi chiamo Barbara, sono nata a Venezia nel 1950 e vivo in un comune del veneziano.
Prima di iniziare il racconto delle mie vicissitudini, devo premettere che, grazie alle cure e alle attenzioni dell’équipe del Prof. Galiè, riesco a sopravvivere alle mie numerose magagne. Pertanto ringrazio con tutto il cuore (quello che rimane sano) il Prof. Galiè, la Dott.ssa Manes, il Dott. Palazzini e tutto il personale paramedico del padiglione 21 dell’Ospedale S. Orsola-Malpighi di Bologna.
Sono nata purtroppo con una rara malformazione cardiaca. Mia madre si accorse subito che avevo le labbra bluastre ed ero un po’ cianotica. Le prime visite cardiologiche, all’epoca alquanto generiche, attestarono un semplice soffio al cuore (magari fosse stato solo quello!). Tale convinzione nei cardiologi di allora continuò fino alla mia adolescenza. A sei anni presso la clinica universitaria di Padova feci il mio primo cateterismo cardiaco, ma non avemmo alcuna indicazione specifica, salvo che persisteva una non meglio definita cardiopatia congenita.
Io però mi sentivo diversa dai miei coetanei: ad ogni piccolo sforzo nel salire le scale dovevo fermarmi, se camminavo a passi svelti perdevo il fiato e le forze e diventavo cianotica. Imparai a darmi ritmi e tempi confacenti al mio stato. Tale situazione di poca chiarezza sulla mia malattia continuò fino alla mia adolescenza e oltre.
Mi misi, come si suol dire, “il cuore in pace” e decisi di vivere la mia vita giorno per giorno. Non riuscivo però a trattenere i pensieri che mi martellavano: “Che malattia ho?”
All’età di 28 anni decisi di effettuare una visita all’Ospedale Borgo Roma di Verona e su suggerimento del cardiologo venni ricoverata. Mi fecero due cateterismi cardiaci e un filmato relativo agli stessi. La diagnosi fu: difetto del setto ventricolare ed atriale con shunt bidirezionale e ipertensione polmonare severa. Mi consigliarono un intervento chirurgico al quale però non mi sentivo pronta e mi rifiutai. Prenotai una visita a Parigi da un luminare cardiologo dell’epoca (1978) che escluse la possibilità di un intervento chirurgico, perché la mia patologia era ritenuta inoperabile, e confermò la diagnosi di Verona.
A Houston, in Texas, dove mi recai nel 1979 e dove venne esaminato il film del cateterismo fatto a Verona l’anno prima, per
la prima volta venne dato un “nome proprio” alla mia patologia: Sindrome di Eisenmerger. Anche questi medici riconfermarono l’impossibilità di un intervento chirurgico e filosoficamente mi dissero: “Si goda la vita!”. Così cercai di fare per gli anni a venire senza per altro accusare peggioramenti del mio stato. Verso il 1997, con i primi segni della menopausa,
la mia situazione cominciò a peggiorare con aumento dell’affaticamento e mancanza di respiro al minimo sforzo. Andai da un cardiologo, primario di un noto ospedale veneziano, portai tutti i miei incartamenti e, dopo le visite di routine (elettro-cardiogramma, eco-cardiogramma), mi furono prescritti farmaci beta bloccanti, che presi per circa un anno e mezzo. Nel frattempo si manifestavano sempre più frequentemente crisi bronchiali con alcune bronco-polmoniti. Feci una visita da uno pneumologo dopo un ricovero all’ospedale di Mirano, causa una brutta bronco-polmonite, dove portai tutte le mie carte e le prescrizioni del cardiologo. Lo pneumologo, letto della Sindrome di Eisenmenger con severa ipertensione polmonare, mi chiese perché prendessi i beta bloccanti e mi consigliò di sospendere l’assunzione di tali farmaci. Nel contempo mi prescrisse esami specifici che conclamarono una broncopneumopatia cronica ostruttiva (BPCO) e la necessità di intraprendere perennemente una terapia con ossigeno.
Consultai un altro cardiologo, primario di ospedale, non avendo più fiducia nel precedente. Era evidente il peggioramento della mia situazione con affaticamento sempre più debilitante e con dolori persistenti agli arti inferiori. Il cardiologo mi consigliò una visita neurologica per i miei dolori agli arti inferiori. Il neurologo non trovò alcuna patologia muscolare. Tornai dal cardiologo e chiesi cosa fare per la mia ipertensione polmonare. Mi rispose che per la mia situazione non sapeva cosa fare né dove indirizzarmi.
Sempre più debilitata cercai per mio conto attraverso internet una possibile soluzione e trovai il centro GUCH (sigla che significa: Grown Up with Congenital Hearth defects, pazienti affetti da una cardiopatia congenita divenuti adulti). Il centro era collocato presso l’ospedale Gaslini di Genova e prenotai una visita col cardiologo Dott. Enrico De Caro. Con molta professionalità e gentilezza il Dott. De Caro mi parlò in dettaglio della Sindrome di Eisenmerger e dell’ipertensione polmonare in particolare. Mi spiegò il decorso della malattia, mi parlò dei rischi, dei farmaci e degli interventi chirurgici di trapianto come ultima ratio. Al Gaslini le cure erano in fase sperimentale con protocollo non completo e il Dott. De Caro mi consigliò, anche per la comodità della vicinanza a Venezia, di recarmi presso l’ospedale S. Orsola-Malpighi di Bologna dal Prof. Galiè, luminare ed esperto di ipertensione polmonare a livello mondiale (detto dallo stesso Dott. De Caro), che svolgeva l’attività in un reparto all’avanguardia. Prenotai telefonicamente un ricovero che durò circa una settimana. Venne confermata la mia patologia e mi vennero prescritti alcuni farmaci: dapprima il solo Revatio, in seguito fu aggiunto Tracleer. Per via di alcuni effetti collaterali il Tracleer fu sostituito col Macitentan (Opsumit).
Ne trassi subito beneficio. Non posso ovviamente correre o pedalare in bicicletta, ma ora posso fare tutte le faccende domestiche che prima mi erano impossibili e qualche passeggiatina aiutata dall’ossigeno. La malattia è stabile e sotto controllo. Ho avuto nel 2014 un problema di bradicardia con blocco di branca e battiti del cuore a 38. Ricoverata d’urgenza a Bologna mi venne inserito un pace maker che risolse anche questo problema. Ora sono in terapia con Revatio, Opsumit e Lasitone (diuretico), continuo le visite semestrali al
S. Orsola-Malpighi e mi sento bene.
Ringrazio AIPI, Pisana Ferrari e Marzia Predieri che con la loro benemerita attività rendono sollievo a tutti noi portatori di questa terribile patologia.
Come mi consigliarono a Houston nel lontano 1979, cerco di godermi la vita come posso.
di Barbara Fonfon