Ora apprezzo ogni minuto donato!
Raccontare la mia storia non mi è facile, perché scriverla è come accettarla e ammettere ad alta voce che sono malata e di conseguenza far sapere a tutto il mondo il mio problema, che fino ad ora ho cercato di tenere molto nascosto… forse per paura o per vergogna.
Mi sono sentita e tuttora mi sento dire che non sembro malata perché i malati, quelli veri, soffrono, stanno male e si vede la loro sofferenza; io invece non dimostro il mio dolore e la mia sofferenza, sono ben messa e forte di carattere, quindi anche di salute sono sana, perché nell’immaginario popolare le persone “in carne” stanno bene. Queste parole dure e pungenti mi girano spesso nella testa. All’inizio erano forti e pesanti, adesso sono più silenziose, ma ci sono ancora e sono sempre un po’ dolorose.
Mesi fa, quando ancora non conoscevo il mio vero problema, mi dicevo che ero grassa perché mangiavo tanto, forse troppo, quindi decisi di mangiare poco, il meno possibile; passavano le settimane ma, anziché dimagrire, ingrassavo e mi gonfiavo come un palloncino. La vergogna era tanta, portavo abiti larghi per nascondere il corpo grasso, non andavo al mare o piscina perché mi vergognavo a indossare il costume. Conducevo una vita frenetica, facevo le pulizie e stiravo presso un paio di famiglie, in più facevo la dog sitter, ero occupata tutto il giorno, la testa era impegnata a fare altro così non pensava alle parole pungenti di chi mi puntava il dito dicendo che ero grassa. La fatica la sentivo, eccome se la sentivo, su e giù per le scale, lava i vetri, lava i pavimenti, stira per ore, porta a spasso i cani. Ma nella mia testa la fatica era legata al mio corpo grasso.
Più passava il tempo, più sentivo un malessere dentro, respiravo male, avevo l’affanno per ogni minimo sforzo che facevo, per fare una scala mi fermavo varie volte. Al lavoro ero lenta, quello che prima facevo in un’ora adesso lo facevo in due… Finché non è arrivato il primo svenimento, ho incolpato il caldo, poi è arrivato il secondo, il terzo. Poi ho iniziato ad avere tachicardia, la pressione era altissima, vomitavo per respirare e le labbra si coloravano di viola…
Il medico di famiglia mi
ha mandata a fare un day hospital in un ospedale di zona per eseguire esami
e accertamenti. Poi è arrivato il ricovero presso un altro ospedale: una settimana bruttissima, lunga, le giornate non passavano mai, i medici non sapeva-no dare risposte e cause ai miei malesseri, quindi dopo una settimana mi hanno dimessa. La diagnosi era confusa e incerta, incolpavano il peso al di sopra della norma per la fatica a respirare e il gonfiore alle gambe, incolpavano il caldo. Mi hanno prescritto una cura con una pastiglia per il cuore e una per la pressione: la prima doveva far rallentare i battiti, la seconda abbassare la pressione.
Tornata a casa ho continuato con la mia solita vita, meno frenetica e con meno impegni perché nella settimana di ricovero avevo perso il lavoro da dog sitter e una famiglia, alla luce dei miei malori, non mi aveva più voluta per paura che stessi male mentre ero in casa loro.
Fortunatamente, mi hanno assunta in un supermercato per il periodo estivo: era un po’ distante da casa, 40 km circa, ma per lavoro si fa questo ed altro… Le giornate correvano veloci, il lavoro mi piaceva e mi trovavo bene, nonostante la fatica. Finché un giorno, mentre ero al lavoro, ho iniziato a stare malissimo, vertigini, batticuore e vomito. Non c’erano spiegazioni per questo malessere, quindi il mio medico, che già stava pensando a cosa fare, in accordo con una collega mi ha indirizzata al S. Orsola-Malpighi al reparto di cardiologia.
La paura era tanta, anzi tantissima, il ricovero è stato immediato e da quel momento è iniziata una settimana fatta di esami e ricerche. Ho conosciuto il Prof. Galiè, che dopo un paio di giorni mi ha informata che ero affetta da ipertensione polmonare idiopatica, mi ha illustrato un po’ la malattia, ma sinceramente mentre lui parlava io ero come immersa in una gigantesca bolla, non capivo quello che diceva, non capivo questa malattia. La noia dell’ospedale mi ha portata a cercare in internet questa “malattia rara”, ma curabile che mi obbligava a tanti sacrifici; nel leggere i sintomi e i malesseri mi ritrovavo in tutto quello avevo passato nei mesi precedenti, ho letto e mi sono informata sulla terapia, come funzionava e cosa dovevo fare. La delusione e l’amarezza erano tante, il non comprendere era terribile. Quello che leggevo era terribile, una malattia nata dal nulla che mi aveva compromesso cuore polmoni e reni, non ci potevo credere, è stato un duro colpo!
Internet mi ha spaventata e non sapevo nulla di più di prima, avevo solo un gran vuoto dentro, mi chiedevo perché proprio io… Sono arrivate le dimissioni, e il Prof. Galiè mi ha illustrato la terapia che avrei dovuto seguire. Il modo migliore per affrontare la malattia nel quotidiano era che principalmente dovevo rallentare il mio ritmo di vita, dovevo affrontare tutto con molta più calma e tranquillità.
Nella settimana di ricovero, con l’aiuto delle medicine e di un’alimentazione sana, non tanto diversa che dalla mia solita quotidiana, avevo perso 10 kg di liquidi accumulati e la cura con opsumit e revatio stava già dando i primi risultati. La strada poteva essere solo in discesa, perché il peggio era passato.
All’inizio non è stato facile accettare la malattia, e sinceramente tutt’ora sto ancora lavorando sul metabolizzare che ho limiti fisici. È stato faticoso accettare che non potevo più fare la vita che facevo fino a qualche tempo prima.
Inutile dire che ho dovuto lasciare il lavoro di commessa di gastronomia al supermercato perché troppo pesante; quindi mi sono dovuta rassegnare al riposo e a cercare un lavoro più adatto alle mie nuove condizioni. La notizia più brutta è stata che purtroppo non sarebbe stato possibile avere bambini, perché la gestazione e il parto sarebbero troppo pesanti per il mio cuore e per il mio corpo, diventare mamma era la cosa che più desideravo, ma si vede che non è quello che il destino aveva progettato per me. Fortunatamente il mio compagno ha tre splendidi e vivaci nipoti che con il loro affetto mi aiutano molto a non sentire la mancanza di bambini nella mia vita.
A distanza di mesi, nel dicembre 2017, ho iniziato un nuovo lavoro, impiegata presso un’azienda del mio paese. Il lavoro l’ho trovato grazie all’invalidità che mi è stata riconosciuta, odiata all’inizio perché mi faceva sembrare ancora più diversa, ma ben voluta quando mi ha “regalato” la possibilità di un nuovo lavoro che è quello che ho sempre amato e per il quale ho tanto studiato.
La mia fortuna è di avere vicino genitori che mi vogliono bene, un’amica che è una sorella e un fidanzato che mi adora e che nonostante tutto è sempre stato al mio fianco, anche quando stavo male e piangevo come una matta senza tregua e senza un particolare motivo.
Un ringraziamento particolare va al mio medico di famiglia, il Dott. Pier Paolo Mazzucchelli, che è sempre presente e pronto per ogni mia esigenza, a tutto lo staff dell’ambulatorio del S. Orsola-Malpighi, che da settembre mi segue nei miei controlli periodici e ultimo, ma non in ordine di riconoscimento, un apprezzamento e un ringraziamento speciale lo faccio a tutto il personale del reparto al S. Orsola-Malpighi, perché con professionalità e bravura, nonché affetto, mi ha aiutata nella settimana di ricovero. Grazie di cuore al Prof. Galiè che con i suoi studi, il suo lavoro e la passione che mette in quello che fa mi ha letteralmente donato una seconda vita.
È molto dura accettare e affrontare la nostra unica e rara malattia, ma con l’aiuto dei gruppi di sostegno, conosciuti on-line e tramite l’associazione, piano piano la sto affrontando al meglio e sto assaporando i pregi e i difetti di questa mia nuova vita. L’IP mi ha insegnato a pensare molto più a me stessa e ad apprezzare ciò che la vita mi riserva perché, nonostante sia beffarda e difficile, ne abbiamo una sola e dobbiamo viverla apprezzando ogni singolo minuto che ci viene donato.
di Valentina Bragaglia