Ogni giorno una montagna più alta da scalare
Mi chiamo Monica, ho 49 anni e vivo a Lignano, una località turistica, di mare, ma tranquilla.
Dal 2009 convivo con l’ipertensione polmonare e purtroppo il mio calvario è iniziato qualche anno prima di allora.
Dopo la gravidanza del 2004 la mia vita è cambiata. Il mio fisico ha subito un crollo drastico: non riuscivo più a fare le cose che ero abituata a fare normalmente. Il mio quotidiano era diventato un monte da scalare ogni giorno con fatica e affanno. Affanno: parola semplice da dire, ma per chi vive ogni giorno in questo stato, l’affanno è un grande fardello.
Passavano gli anni e arrivavamo al 2007. Durante una delle tante visite mi è stato diagnosticato l’ipotiroidismo. “Bene!”, ho detto io, risolto il problema della stanchezza, dell’affanno, della mia debolezza: una pastiglia e tutto passa. Purtroppo non è andata così e io mi sentivo sempre peggio. Stanchezza, affanno e debolezza non mi abbandonavano mai, peggioravo di giorno in giorno e con i miei bambini ancora piccoli era sempre più faticosa la giornata e più difficile affrontare le varie mansioni quotidiane di una mamma casalinga. Mi facevo forza e andavo avanti, mi dicevo “Su, non è niente, se i medici dicono che non è niente, devo stare tranquilla”. Ogni giorno però la montagna da scalare era sempre più alta e mi pareva di non arrivare mai. Depressione post partum, dicevano alcuni medici. Obesità, dicevano altri. E io stavo peggio! Nessuno mi capiva e a volte ho pensato veramente di non essere nel pieno della mia lucidità mentale. Non ero però fuori di testa e nemmeno depressa. Io stavo male e nessuno mi capiva!
Una mattina mentre passeggiavo sul lungomare, ho avvertito un forte dolore al petto e un formicolio al braccio sinistro. Mi sono spaventata molto. Ho fatto di nuovo una visita privata e finalmente, o sfortunatamente, mi hanno detto che cosa avevo. Il 1° aprile 2009 mi è stata diagnosticata l’ipertensione polmonare all’ospedale di Palmanova. La Dott.ssa Baldin, bravissima cardiologa e primaria della Cardiologia di Palmanova, mi ha spiegato che è una malattia rara e per questo motivo sarebbe stato meglio contattare uno dei centri di eccellenza, purtroppo lontani da casa mia. Io speravo di trovare un centro ppecializzato dove incontrare pazienti giovani come me. Ho deciso di andare a Trieste, il posto più vicino a casa, sottovalutando la situazione grave e pensando soprattutto ai bambini da crescere. Non potevo assentarmi tanto da loro, ma dovevo tornare il prima possibile. Sono stata chiamata a maggio.
Ho pensato: “Non sarà così brutta questa malattia! Due pastiglie e via! E la cosa torna a posto”. Ancora una volta non era così semplice! Da quel momento è iniziato il mio vero calvario, con visite e ricoveri da un ospedale all’altro alla ricerca di una diagnosi giusta che sembrava non arrivare mai.
In uno di questi, i medici mi hanno impiantantato il Flolan (che prevede un catetere venoso centrale, impegnativo da impiantare e da gestire, ndr); ero scioccata, incredula, impietrita, terrorizzata. La cosa mi spaventò molto. In un altro, mi hanno inserito in lista di attesa per trapianto cuore e polmoni. Quando sono tornata a casa ero delusa, amareggiata e sconfitta: pensavo che non ci sarebbe più stata alcuna soluzione o via d’uscita alla mia malattia: era finita per me! Mi sono chiusa nel mio dolore, nella mia sofferenza e non avevo più voglia di combattere, avevo deciso di rassegnarmi e aspettare che tutto finisse. I miei familiari, invece, non si sono arresi. Mio padre e mio marito hanno deciso che avrei dovuto sentire un altro parere medico, che non dovevo fermarmi, ma proseguire nel mio viaggio della speranza. Meta: S. Orsola-Malpighi di Bologna dal Prof. Galiè. Io non volevo andarci, ero sfinita e non volevo essere ulteriormente martoriata per altri esami. Ho tirato fuori il mio buon senso, ho ascoltato la mia famiglia e mio marito che nel frattempo aveva già prenotato una visita dal Prof. Galiè. Anche i miei cugini cardiologi che lavorano a Padova, hanno raccomandato la stessa soluzione.
Siamo partiti per Bologna. Ricordo l’incontro con un “medico-persona” che mi ha trattato come un essere umano. Non mi ha accolto in uno studio bello, con poltrone in pelle, con vestiti eleganti e non mi ha parlato senza farmi capire quello che avevo. Niente di tutto questo. Il Prof. Galiè mi ha fatto accomodare in una stanzetta dell’ospedale, seduti uno di fronte all’altro e mi ha lasciato parlare. Lui ascoltava. Finalmente un medico che ascolta il paziente! Non ero più un numero, ma una persona; non aveva fretta di fare la visita, ma aveva tempo per me. In quel preciso momento mi sono resa conto che sedevo di fronte a un Grande Medico e io dovevo avere fiducia, perché era la persona giusta per me.
Da quel giorno del 2010 sono in cura a Bologna. Nei cinque giorni passati come ricoverata al S. Orsola-Malpighi, ho visto che il Prof. Galiè non stava seduto nel suo studio su una bella poltrona in pelle, ma in corsia e nelle stanze coi suoi pazienti per visitarli, ascoltarli, confortarli e trasmettere loro una grande serenità: anche se dall’aspetto sembra severo e schivo, è dotato di una grande umanità. A Bologna ho trovato più umanità, più competenza, più gentilezza, più cuore. Sono tornata a casa con una gran voglia di vivere, perché avevo sperimentato che ora c’era un centro che mi ascoltava, qualsiasi cosa dovesse succedermi. Un grande centro con medici che si prendono cura di noi malati di ipertensione polmonare.
All’inizio i controlli erano ravvicinati, perché dovevano monitorare i risultati della terapia ed eventualmente aggiustarla. Ora però vado a Bologna ogni 6 mesi. Sono in terapia con Tracleer e Revatio. Il test del cammino dei 6 minuti mi spaventa sempre un po’ e mi mette ansia, ho paura di perdere metri e di peggiorare. Per fortuna le infermiere Ambra, Angela e Fiammetta sono eccezionali e mi incoraggiano sempre ogni volta.
Guardo indietro e penso a quanti pianti e sofferenze, quante notti passate ad osservare le foto dei miei bambini e pensare a come poter sopravvivere! Quante cose brutte mi sono passate per la mente, quanto sconforto, quanto dolore! Nonostante ciò il mio pensiero correva ai bambini. Dovevo stare vicino a loro, crescerli, accudirli. La grande forza ad andare avanti me l’hanno data loro e un grande uomo che è mio marito, che non mi ha mai lasciato sola durante tutti i ricoveri nei vari ospedali. Ringrazio tutta la mia famiglia, i miei genitori – nonni eccezionali – per essersi presi sempre molta cura dei miei figli.
Ora sono serena, anche se conosco la gravità della mia malattia e a volte i momenti bui si ripresentano. Ho fiducia nel Prof. Galiè e nella sua équipe medica. So che questi Grandi Medici non fanno miracoli, ma sicuramente fanno di tutto per farmi vivere meglio.
di Monica Gruppo