Un abbraccio dalla guerriera che è in me!
Salve a tutti! Sono Emily, ho 36 anni. Molti di voi già mi conoscono tramite l’associazione e il nostro gruppo Whatsapp “Più unici che rari”.
Sono sarda; esattamente di un paesino chiamato Uras in provincia di Oristano. Provando a sintetizzare il più possibile cercherò di raccontarvi la mia storia e la scoperta della malattia. Già dai primi anni di vita la mia salute non era delle migliori. Mia mamma mi racconta che già dall’età di circa quattro anni inizio ad avere problemi a mangiare; problemi arrivati quasi all’improvviso e dovuti sicuramente alla tosse che da tempo non mi dà tregua. Iniziano gli accertamenti e, dopo un’accurata visita al dispensario, la diagnosi è bronchite. Consigliano quindi a mamma e papà di portarmi al Binaghi di Cagliari, dove curano proprio patologie polmonari. Là mi visitano escludendo la bronchite. Parlano invece di pertosse, consigliando a mia madre di essere meno apprensiva e di coprirmi meno, soprattutto durante la notte, poiché è il caldo a farmi tossire di più. Inizio a convivere con la tosse, confusa per tosse allergica dovuta alla casa umida. Mia madre mi porta da diversi medici e la diagnosi è sempre la stessa: niente medicine, ma mare e pineta.
Intanto cresco e mi accorgo che a scuola basta una piccola corsa per farmi venire l’affanno. Non sono mai in perfetta forma, mi sento il cuore che va a mille e io, non conoscendo la normalità, penso che quella lo sia. Da adolescente inizio a chiedermi quale sport potrei iniziare. Da ragazzina tenace decido di provare la pallavolo; mi strema, ma mi dà soddisfazione. A volte riesco, non vista, a tagliare a mezzo campo anziché farlo tutto intero! Continuo per qualche anno come posso e contemporaneamente inizio con l’equitazione. Questa mi stanca meno in assoluto. A 12 anni comincio anche con il tiro con l’arco: ecco, questo è decisamente lo sport adatto a me, penso. Uno sport di concentrazione: le frecce dal paglione si recuperano con tutta calma!
In quegli anni sono un po’ sovrappeso e i miei compagni mi prendono in giro. Decido poi di iscrivermi a judo dove mi cimento con successo, diventando bravissima. A 15 anni alla mia ultima gara vinco e arrivo prima sul podio; sono felicissima, il cuore mi batte a mille, ma l’affanno non rientra dopo lo sforzo dell’incontro. A un certo punto svengo e cado dal podio. La giustificazione sembra essere un calo di zuccheri, dato che sono a digiuno dalla sera precedente. Dei vari sport continuo solo il tiro con l’arco. Alle visite mediche sportive mi dicono spesso che c’è un piccolo soffio al cuore, ma trascurabilissimo. Piuttosto mi chiedono se soffro d’ansia data la pressione alta e il battito accelerato. La tosse c’è sempre, soprattutto sotto sforzo. Se mi innervosisco arriva a provocarmi il vomito. E di notte mi sveglio. Mi sento mancare il respiro e tossisco tanto da dovermi alzare per alcuni minuti per riprendermi. La mia voglia di fare mi porta intanto a provare nuove esperienze: piscina e balli di gruppo, poi sospesi per la solita tosse e affanno. Mi convinco sempre più che non tutti siamo uguali e che io non sono portata per fare attività ipercinetiche.
Mi ritiro da scuola dopo i primi tre anni delle superiori, non ce la faccio più a fare ogni giorno tanti chilometri a piedi casa-stazione-scuola e viceversa. A 25 anni decido di andare di mia spontanea volontà da un cardiologo e da un semplice ECG mi dice che sono tachicardica, che avverte un leggero soffio e nulla di che. Mi invita a dimagrire, visti i miei 85 chili, e a prendere qualche goccia di ansiolitico al bisogno. Rimango perplessa e incredula, so di non essere ansiosa, ma dato che il medico è lui…
Durante le varie visite mediche per svariati motivi, nessuno mai mi parla di problemi al cuore. Continuo con il tiro con l’arco fino al compimento dei 29 anni. Cerco di fare una vita il più possibile normale.
Passano gli anni e fatico a fare anche solo 20 gradini. Tutto è diventato problematico e difficile per me: mi manca il fiato. Noto gambe gonfie e sempre più cellulite e dolore al petto. Se mi piego, sento anche fischi nell’orecchio e mi si appanna la vista. Il mio medico minimizza e mi prescrive un diuretico che mi dovrebbe aiutare, ma non risolve il problema. La notte del 26 aprile 2009 subisco un brutto incidente d’auto, a seguito del quale vengo ricoverata al S. Gavino Monreale, fra Cagliari e Oristano. Durante i venti giorni di degenza ne approfitto per parlare del mio problema di fiato e di un’altra questione di carattere urologico. Mi fanno parlare con una psicologa e alla dimissione mi spediscono al Centro di Igiene Mentale. Per fortuna non prendo mai alcun farmaco per problemi del genere. L’ortopedico che incontro in ospedale è la mia salvezza. Decide di operarmi al menisco all’ospedale S. Martino di Oristano dove lavora. Durante i controlli pre-anestesia al S. Martino si scopre una neoplasia nodulare polmonare e vengo ricoverata d’urgenza al S. Gavino.
Strano, penso, nessuno se n’è accorto prima. Incomincio a disperare. Divento aggressiva, incredula: questo è un incubo devastante! Quando entra il cardiologo in camera mia comincio a raccontare tutto quello che mi è successo fino a quel momento. Per la prima volta dopo anni mi sento finalmente ascoltata, sento anche tanto calore e amore intorno a me; forse ho attirato un po’ l’attenzione! Mi dicono che faranno, per maggior approfondimento, anche altri esami.
Urlo, piango, invoco aiuto dai miei angeli in cielo, sperando che non sia un cancro. Mi devono sedare per effettuare l’esame e, sebbene intontita, riesco a sentire che si tratta di un difetto congenito al cuore e non di cancro. Emily, non sarà una passeggiata, ma guarirai e piangerai lacrime di gioia. Sarà la tua vittoria! Finalmente ho una diagnosi. Resto dieci giorni in ospedale, ma la diagnosi cambia letteralmente: “Ipertensione Polmonare severa in paziente con difetto interatriale (DIA) tipo seno venoso con forame ovale pervio di un 1cm e mezzo posto in prossimità della vena cava superiore, più due ritorni anomali polmonari parziali”.
Insomma due interventi in uno! Sentirmi però dire che sarei guarita e ricevere le risposte a tutti i miei quesiti mi dà grinta e coraggio per tornare a una vita quasi normale! Per correggere il difetto interatriale mi trasferiscono da Oristano all’Ospedale Brotzu di Cagliari, dove mi ripetono esattamente tutto. Finalmente mi sento al sicuro. Il giorno del mio trentesimo compleanno confermano l’intervento per il 12 dicembre 2009. È il 29 settembre e ho quindi tempo per informarmi su tutto.
Esco in terapia con Lasix e Cardioaspirina fino all’intervento. Adrenalina al massimo, sia per la paura che per il fatto che sarei guarita! Sono talmente agitata che nemmeno la pre-anestesia mi fa effetto! Sento freddo e mi guardo intorno: sembra una macelleria: tutto piastrellato con apparecchiature di ogni tipo. So ormai tutto della mia cardiopatia: sono talmente informata da farmi paura e coraggio insieme, da sola!
L’intervento non va proprio del tutto come si sperava, ho un versamento pleurico, mi fanno diverse trasfusioni e un’ecotransesofagea; RX ogni giorno, ossigeno, tubi da ogni parte, sonde, cateteri, flebo alle braccia. Mi dicono che sono forte e che il mio intervento non è stato così semplice: dalle cinque e mezza del mattino fino alle tre del pomeriggio, quando finalmente rivedo i mei che mi fanno forza. Dopo sei giorni di terapia intensiva, finalmente la luce! Emily ti sei stabilizzata, emoglobina ok, potassio si può sistemare. Ti riportiamo in reparto! L’incubo sta per finire. Mi fanno alzare quasi subito! Chiedo uno specchio per vedere la mia cicatrice che ora chiamo “trofeo”.
I primi passi sono i più pesanti, il cuore va come una Ferrari. Sono entusiasta e aspetto l’ora delle visite. Sono ancora in terapia intensiva.
Oggi devo andare incontro io a loro! “Ciaooooooo, sono qui!” Ricordo ancora i loro volti felici! Vedo che mi sono dilungata nel raccontare, ora cerco di sintetizzare. Ecco perché non volevo raccontarmi, per non correre questo rischio! La sera della vigilia di Natale torno a casa più felice che mai. Nonostante la mia posizione cifotica per via del dolore toracico sono la più felice del mondo, tutti mi aspettano a casa…
Miglioro ogni giorno, ogni settimana, ogni mese. Al terzo mese mi sospendono i farmaci: ora sei guarita, fai vita normale e puoi avere un figlio, se credi. Ora puoi. Ma dopo alcuni mesi mi sento nuovamente strana. Vado alla visita del sesto mese, dicendo che mi sento strana e che mi ritorna l’affanno per un nonnulla. Chiedo: non è che l’Ipertensione Polmonare non è regredita come mi era stato detto?
Il medico del Brotzu che mi aveva in cura prima dell’intervento risponde: “Ma che dici? No no, quella regredisce da sola con il tempo, era dovuta alla cardiopatia!” Ribatto che con il Lasix stavo meglio! Risposta: “È una tua impressione”. Un giorno invece del primario mi visita una dottoressa più giovane di me che si accorge della pressione polmonare alta. Mi dice: “Emily ci vediamo fra sei mesi non prendere più il Lasix”. Io le confesso di averne preso di nascosto. Dopo altri sei mesi decide di chiedere al primario un cateterismo che, a parere suo, andava fatto da subito, prima di interrompere le terapie. Il 22 gennaio mi inserisce in lista.
Non mi chiamano e io mi sento sempre più fiacca, al punto di chiamarli io ai primi di aprile. Faccio presente la mia situazione e l’improvvisa ipoacusia all’orecchio sinistro. Mi dicono che solleciteranno. Nulla. I primi di maggio richiamo io in reparto. Mi risponde la psicologa: “Stai serena, la tua situazione è a posto, la cardiologa specializzanda è scrupolosa perché nuova e più giovane!”. Io comunque non mi sento tranquillizzata dalle sue parole. Mi inquieto. Il mio sollecito ha però prodotto il risultato di avere fissata la data cateterismo: 28 maggio 2014. Sono stremata da quei “trattieni il fiato e respira quando te lo dico io”. Il tutto dura un paio d’ore, sembro un fenomeno da studiare e capire meglio. Arriva il mio attuale medico per terminare il cateterismo. La diagnosi è la stessa, tale e quale prima di correggere il difetto: “Ipertensione Polmonare severa precapillare con vasculopatia avanzata”. Inizio il Tracleer e il mio adorato Lasix mi viene riprescritto.
Sono di nuovo triste. Decido di fare giusto due chiacchiere con il cardiologo che ha sottovalutato il mio stato di salute nonostante io dicessi come stavo. Dice che sembro l’immagine della salute e che non crede che l’IP sia rimasta dopo la correzione. Continuo ad andare avanti. Le mie condizioni a distanza di due anni sono migliorate, la pressione è a 31 e non più al doppio; il fiato c’è, l’affanno quasi mai, salvo arrabbiature, sfido le scale e le salite.
Ovviamente le abitudini vanno modificate con l’IP: niente pesi superiori ai 5 chili e fermarsi appena si sentono i primi sintomi di stanchezza.
A distanza di poco più di sei anni posso dire di essere felice:
1. per il miglioramento post intervento;
2. per come sono ulteriormente migliorata in questi ultimi due anni con il Tracleer;
3. perché ho trovato una famiglia allargata di pazienti IP che vive le mie stesse paure e che, grazie al gruppo Whatsapp, sento accanto 24 ore su 24.
Come promesso ad ogni assemblea annuale AIPI ci dobbiamo riabbracciare, visto soprattutto quel che all’ultima
assemblea, a noi che abbiamo partecipato, è accaduto! Vi ringrazio tutti per l’opportunità di far parte di questa associazione e consiglio a tutti di fidarsi di più del proprio istinto. È quello che ci guida a trovare la giusta strada e io l’ho trovata a 36 anni e finalmente posso dire che sto bene!
Un abbraccio dalla guerriera che è in me!
di Emily Piras